LE INVENZIONI AL TEMPO DEL COVID-19
di
di Mariachiara Anselmino
Domenica 26 aprile si è conclusa #EUvsVirus, un’importante “hackathon” lanciata dalla Commissione Europea, sotto la guida dell’European Innovation Council e in collaborazione con gli Stati Membri, per raccogliere tra inventori e creativi, investitori e società civile, idee e soluzioni per fronteggiare le conseguenze della pandemia di Covid-19, nell’ambito della salute, della continuità del business, della coesione sociale e politica, dell’istruzione, della finanza digitale e di altre aree interessate.
Forse perché è il Paese che in Europa è stato più duramente colpito dal virus, ma forse perché da sempre culla di menti ingegnose e di estri creativi, oltre che di una resilienza robusta che di fronte alle tragedie ha sempre saputo trarne un’occasione per rialzarsi in piedi, l’Italia figura in testa al contest per numero di partecipanti.
La grande gara europea delle invenzioni non ci ha mostrato semplicemente quella parte virtuosa del Paese che in queste settimane abbiamo riscoperto e applaudito, ma un concetto molto più ampio: l’importanza delle idee, della competenza che diventa progetto, dell’inventiva che diventa creazione, per il bene di tutti. La rincorsa forsennata verso soluzioni che diano respiro ai sistemi sanitari nazionali, alle imprese messe in ginocchio dalla contrazione dell’economia globale, ai microcosmi delle nostre vite stravolte dalle misure di isolamento e contenimento del virus, ha messo in nuova luce quanto la proprietà intellettuale costituisca un baluardo irrinunciabile per molteplici aspetti dell’assetto economico, politico e sociale di uno Stato.
In Italia, da nord a sud, imprenditori, start-up ed enti hanno dato una risposta a gran voce ai terribili effetti che il coronavirus ha inevitabilmente portato con sé, soprattutto sotto il profilo sanitario ed economico. A fronte delle difficoltà di approvvigionamento di dispositivi di protezione individuale come mascherine, tute, visiere, etc., non solo molte aziende hanno riconvertito la propria produzione, ma l’inventiva di alcuni ingegneri ha portato, per esempio, alla realizzazione di apparati per la ventilazione tramite stampa 3D, come l’azienda Shape Mode di Milano che ha riprodotto la valvola per i sistemi di ventilazione che un ingegnere polacco aveva messo a disposizione open source sulla rete e Isinnova, start-up bresciana ormai nota al pubblico per aver messo mano alla maschera da sub Easybreath di Decathlon trasformandola in un respiratore.
E ancora, l’azienda romagnola Wasp ha creato il prototipo di una mascherina con filtro intercambiabile, che grazie alla tecnologia 3D è in grado di aderire meglio al viso e di un casco ventilato da usare in ambienti ad alto rischio di contaminazione.
Diverse imprese stanno inoltre lavorando sulle maniglie “anti contagio”, sulla falsariga di quanto ideato dai colleghi scandinavi che per primi hanno proposto modelli di maniglie che permettono di aprire le porte con l’avambraccio esercitando una leggera pressione.
Dall’Oriente, che per primo ha dovuto fare i conti con il virus che ha ormai colpito quasi tutto il mondo, arrivano i primi sistemi di igienizzazione personale semi-automatici in grado di eliminare le particelle nocive che si trovano sui vestiti. Chi più ne ha più ne metta.
Senza una cura o un vaccino, l’unica misura che sembra poterci salvaguardare è il distanziamento sociale e in questo senso sono svariate le applicazioni realizzate per tracciare la prossimità tra le persone e avere una mappatura che permetta di isolare i casi positivi ricostruendo la rete di contatti che questi hanno avuto e che perciò potrebbero essere a loro volto a rischio. Con tutte le riserve del caso sul piano dell’effettiva efficacia e del trattamento dei dati degli utenti.
Inoltre, come è evidente, i riverberi del Covid-19 sul mondo delle imprese sono seri e richiedono necessariamente una ripresa delle attività una volta garantita la sicurezza dei lavoratori. Tante menti si stanno arrovellando su questo punto critico: come rilanciare l’economia nazionale senza compromettere la salute di coloro che lavorano per tale ripartenza? Una parziale soluzione è stata offerta dal Gruppo Engineering di Roma, il quale ha sviluppato una piattaforma integrata che “analizza, monitora e prevede comportamenti a rischio del personale sul luogo di lavoro, intervenendo in tempo reale con messaggi di warning agli operatori che superano le opportune distanze di sicurezza”, grazie alla dotazione di sensori indossabili (come braccialetti) in grado di dialogare tra loro e inviare i dati generati ad un server centrale che monitora in tempo reale i movimenti dei lavoratori negli spazi comuni, prevedendo possibili contatti rischiosi che quindi potrebbero essere evitati prima del loro verificarsi.
Questi sono solo alcuni esempi di invenzioni pensate, proposte, implementate per far fronte alle conseguenze della più grande emergenza che la nostra società abbia dovuto sostenere in tempi di pace. E se un aspetto non privo di rilevanza da segnalare c’è, è che numerose creazioni, frutto di analisi, studi e ricerche, sono state esposte al mondo senza tutele brevettuali o di trade secrets, a libera disposizione di altre aziende e di altri esperti, perché potessero venire replicate, discusse e migliorate per il bene di tutti.
Il dibattito che ne è scaturito ha posto sui piatti della bilancia due beni tanto intangibili quanto primari: la tutela della salute e la tutela delle idee. Ma si tratta davvero di una relazione “antagonista”? La protezione della proprietà intellettuale costituisce uno stimolo all’innovazione e alla circolazione di nuova conoscenza e per questo motivo non può che essere un incentivo non solo per una migliore gestione delle risorse, ma anche per un ripensamento di tutto ciò che sta cambiando, dai rapporti interpersonali al mondo del lavoro, dalla sanità all’istruzione, dalla questione ambientale a quella della privacy. Proteggere tutto questo non significa porre in secondo piano il diritto alla salute, ma anzi dare valore a ciò che si crea per il bene della collettività, per esempio affidando a soggetti affidabili e competenti la realizzazione di materiali, apparati e strumenti in grado di salvaguardare vite, ma anche posti di lavoro e quelle relazioni sociali che sempre più in questi giorni di isolamento riscopriamo fondamentali.
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